Ma allora era meglio....

Intervista di Antonello Piroso ad Alfredo Cerruti per ”La Verità” del 1 novembre 2018

Alfredo Cerruti, napoletano, classe 1942, potrebbe far suo il bilancio di George Best: “Ho speso molti soldi per alcol, ragazze e auto veloci. Il resto l’ho sperperato“.
Scusa, ma chi te lo dice che la battuta alla Bestia non gliel’abbia regalata io?“, mi stoppa Cerruti, facendo finta di non capire il nome del campione, e giù una risata che i fan degli Squallor – gruppo musicale che oggi definiremmo demenziale e sboccato, precursori, per capirci, degli Skiantos e di Elio e le Storie Tese, e delle provocazioni radiofoniche dello Zoo di Radio 105 – conoscono bene perché spesso finiva impressa su vinile nel corso dell’incisione dei brani.
Ha vissuto come una rockstar: whisky, donne e notti in bianco.
Ma ha anche conseguito grandi traguardi professionali come produttore e direttore artistico in Cbs, Cgd e Ricordi. Come cofondatore – con Giancarlo Bigazzi, Daniele Pace e Totò Savio – dei succitati Squallor. Come autore televisivo con Renzo Arbore (e non solo).
Nonché come fidanzato di Mina per sette anni: “Di Mina non ho mai raccontato nulla, come delle altre mie storie, perché -lo scrisse il poeta- un gentiluomo gode ma non parla. Non comincerò certo oggi, alla mia età venerabile. Come avrebbe detto Licio Gelli“.
Avvertenza per il lettore: con Cerruti ho lavorato per diversi anni, in tv e  in radio, quindi perdonerete il “tu” in una conversazione in cui le risate si sono sprecate, con qualche momento di commozione.

Di te si tramandano tuttora gesta e aneddoti epici, c’è ancora chi ti evoca come “il guru”.
Posso affermare senza tema di smentita che sono tutti veri.

Hai vissuto in hotel a Roma per oltre 12 anni, dopo essere sceso da Milano per partecipare a Indietro tutta!.
Nulla è più definitivo del provvisorio.

Che fai, mi citi Giuseppe Prezzolini?
E chi è? Prezzolini, Prezzolato, non stiamo a guarda’ il capello.

Comunque si trattava sempre della stessa stanza, potevi acquisirne la proprietà tramite usucapione.
Non potevo cambiare, doveva essere al primo piano vicino alle scale di sicurezza (tra le non poche fisime di Cerruti c’è sempre stato il terrore dell’incendio tipo “Inferno di cristallo”).

Sul lavoro, erano le situazioni e gli orari a doversi adattare ai tuoi ritmi, e non il contrario.
Mi stai dando del lavativo?

Ma se ti sei fatto mettere in contratto da Ladislao Sugar, creatore dell’omonimo impero musicale fusosi poi con la Cgd, che non ti doveva essere consentito l’accesso in azienda prima delle 14!
Differivo l’inizio della giornata, ma ne posticipavo anche la fine, visto che facevo tardi tutte le notti in sala di registrazione.

E lì, una volta ti sei messo a fare la voce narrante su una base musicale, ed è nato il fenomeno degli Squallor.
Con Bigazzi, Pace e Savio eravamo amici. A fine giornata, dagli uffici in Galleria del Corso a Milano, scendevamo al ristorante Santa Lucia, e lì facevamo tardi raccontandoci i fatti della giornata, mettendo sempre in mezzo chiunque in un clima di cazzeggio allo stato puro in cui non risparmiavamo neppure noi stessi, la regola era non prendersi troppo sul serio. Del resto, avevamo a che fare per tutto il santo giorno con quegli scassacazzi dei cantanti, con le loro assurde pretese, le gelosie e le ripicche, così compensavamo a tavola.

Con qualche bicchiere di troppo, a detta dei più.
Un goccetto per carburare.

Secondo te questo accadeva nel 1969, ma il primo disco Era il 38 luglio, è del 1971.
Sei il solito precisino. Nel 1969 avevo visto un film in cui c’era un brano musicale più che cantato, recitato con un certo tono distaccato su una base. Lì mi dissi: “Potremmo farne qualcosa di originale”.

Che film?
Il mio amico il Diavolo di Stanley qualcosa. Non Kubrick. Ah sì: Donen. L’idea cominciò a prendere forma, nel frattempo continuavamo a divertirci come eravamo abituati a fare.

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Un esempio?
Gli scherzi telefonici.

A 30 anni?
Embe’? Facevamo vivere il fanciullino che è in ognuno di noi. Chiamavo in un ristorante spacciandomi per un alto prelato del Vaticano e ordinando un menu apposito, “le animelle sì, gli strozzapreti no, mi raccomando”, oppure telefonavamo a casa di qualcuno e la domanda standard era: “Pronto? Buongiorno. Il carico lo scarico lì?”. Quelli non capivano, e allora io spiegavo: “Lei ha vinto un tir di Coca-Cola”, oppure di macchine da scrivere, o magari un cane, e poi aggiungevo: “Accetta? Non ha molto tempo per rispondere, guardi che è partito il cronometro”, e con una matita battevo sulla cornetta a scandire i secondi.

Nessuno che vi abbia mai mandato a quel paese?
Un signore, che poi scoprimmo essere il direttore generale di una casa farmaceutica, ci prese a male parole. Ci vendicammo inserendo in tutti gli scherzi successivi la possibilità di telefonare al nostro ufficio reclami, fornendo il suo numero. Alla fine, esaurito, il poveretto fu costretto a cambiare numero.

Come arrivaste a Era il 38 luglio?
Ero innamorato della voce dei doppiatori, così quando decidemmo di entrare in studio convocai Giuseppe Rinaldi, che era la voce italiana di Paul Newman e Marlon Brando,e per fargli capire cosa volevamo mi misi al microfono per registrare una traccia. Solo che vedevo dietro il vetro quei tre sciammanati che ridevano, e alla fine mi dicono: “Col czz che questa roba la facciamo fare a qualcun altro”. Vendemmo 100 mila copie, senza pubblicità e senza passaggi radiofonici in Rai, c’era solo lei, eccezion fatta per la Schif Parade di Luciano Salce e Bice Valori.

Ti credo: era l’unica canzone senza parolacce, tranne una, la zia “Wuoller”. 
In effetti “Non mi scassare la guallera!” è una tipica espressione partenopea che significa…

Lo so cosa significa, grazie. Dopo però avete esagerato con il turpiloquio, o quantomeno: il pesante doppiosenso goliardico.
Non ti facevo così perbenista.

Parlavate di un monsignore, di cognome Fava, che adescava giovanotti nel buio di un cinema.
Preveggenti, direi…

D’accordo. Ma mi concederai che intitolare i 33 giri, e cito quelli più soft: PalleVaccaTroia (certo, ovviamente sotto finta metafora, con l’immagine da poema omerico di un cavallo a dondolo e le fiamme sullo sfondo), era un pugno sotto la cintola per quegli anni.
C’era qualche parolaccia, ma parlavamo il linguaggio di tutti i giorni, e diventammo gli idoli dei giovani, e non solo di loro, sfottendo ipocriti e benpensanti. Eravamo volgari, ma non sguaiati, e le dicevamo con l’innocenza dei bambini, con i giochi di parole tipo “Diciamo pane al pane, e pene al pene”.

Come da titolo di un articolo del serioso Panorama del 1979.
Bravo. Alla fine, in cinque anni avevamo venduto 400 mila ellepì, e comunque i nostri dischi li facevamo ascoltare all’avvocato Giorgio Assumma per evitare noie legali.

Una volta avete coinvolto Gianni Boncompagni.
Per Vacca. Era lo speaker che annuncia che i componenti del gruppo The Cow alla fine del brano avrebbero realizzato un suicidio collettivo. E difatti al termine Gianni conclude: “Il gruppo The cow non esiste più”.

Ma come facevate a farvi prendere sul serio nel resto delle vostre attività? Pace: paroliere, e basterebbe ricordare E la luna bussòIn alto mareSarà perché ti amo. Bigazzi: autore di canzoni che hanno venduto 250 milioni di copie, con tantissime cover anche all’estero (da LuglioRose rosseSe bruciasse la città di Massimo Ranieri, Tu e Gloria di Umberto Tozzi, Self control e Cosa resterà degli anni 80 di Raf, Ci vorrebbe il mare e le altre hit di Marco Masini). Totò Savio: un musicista e compositore sopraffino, e ricordo solo Cuore matto e Maledetta primavera.
Il segreto era non mostrarsi mai in pubblico come Squallor. Pensa che quando Ciro Ippolito decise di fare un film dal nostro disco, Arrapaho, 5 miliardi di lire al botteghino, il pellerossa vagamente gaio che compariva nello spot per molti era uno di noi. Ma noi esistevamo solo in voce. Nel resto del tempo io ero il direttore artistico della più grande etichetta italiana, con la Rca di Roma, e decidevo io se un brano funzionava o no, si trattasse di un artista al debutto o di un gruppo già affermato come i Pooh.

A proposito di Pooh: sai cosa narra Red Canzian? Che eri un personaggio che incuteva anche soggezione. Se non che, una sera ti ricordi che hai fatto?
Gli telefonai e gli chiesi che tipo di rutti facesse, lo feci venire in studio, lo misi davanti al microfono e gli intimai: rutta. Ne fece una serie, era bravissimo.

Gli farà piacere saperlo a così tanti anni di distanza. L’ultimo album degli Squallor è del 1994, Cambiamento, dopo le elezioni vinte da Silvio Berlusconi: “Son passati 5 anni, siamo andati molto lento ma è arrivato il cambiamento“.
Sarebbe da fare un remix, visto che pure questo è il governo del cambiamento, o mi sbaglio? Sono gli eterni corsi e ricorsi della politica italiana. Purtroppo sono l’ultimo degli Squallor…

Il primo ad andarsene fu a 50 anni Daniele Pace, nel 1985. Con leggenda annessa: al funerale…
Ci ritrovammo davanti a due bare, e per un po’ piangemmo su quella sbagliata, di tal Gargiulo. Alla fine delle esequie, commentai con Bigazzi e Savio: “Siamo rimasti in tre. Come i Police”.

Anni fa, quando con Gigi Sabani facemmo Ed ecco a voi alla radio su Rtl 102.5, e poi ai tempi di Domenica In, alla fine di ottobre dovevamo puntualmente decidere se festeggiare la notte di Halloween o quella di Aulin. Vent’anni dopo?
Se eravamo acciaccati allora, figurati adesso. Anzi, vorrei proporre un format innovativo per la tv, che potremmo fare insieme.

Grande! Tipo?
Catetere: ieri, oggi e – speriamo – pure domani.